L’open space è l’ultimo ritrovato dell’architettura cool di interni per uffici e quindi, in quanto marchiato a sangue col binomio irresistibile figo / contemporaneo, è adottato obbligatoriamente nelle web agency più trendy, manco a dirlo anche nella mia.
In effetti, esteticamente può risultare preferibile alla classica e antidiluviana suddivisione dello spazio interno dell’ufficio, con un unico ambiente in cui si trovano tutti i dipartimenti, tutti i computer,tutte le scrivanie, tutti i lavoratori (già mi manca l’aria), dove parlanotutti, tutti insieme, tra di loro o al telefono, separati da inadeguate paretine basse di vetro o da mobiletti Ikea con le piante finte sulle scaffalature.
Un brusio continuo con picchi improvvisi.
C’è chi cammina avanti e indietro mentre parla al telefono, tutti vedono chi arriva, chi esce, chi va in bagno e per quanto tempo, c’è pure chi litiga con il collega a voce alta, generando un moto diffuso di mani che si tolgono un auricolare dall’orecchio o abbassano l’audio della musica per sentire che succede.
Ecco, perché per riuscire a lavorare tutti insieme in un unico ambiente ci si mette obbligatoriamente gli auricolari e si ascolta la musica tutto il giorno. io arrivo al pomeriggio completamente rincoglionito, ma non ho alternative.
L’estetica e la funzione non vanno molto d’accordo nell’open space che, venduto dagli architetti d’interni come ambiente di maggior socializzazione, si rivela veramente una delle cose più asociali che esistano.
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